Immaginavo che si stendesse una coltre
di neve e che la cipria serale infine espiasse
nella più buia notte ogni astrusa secchezza
della pelle, ogni cinismo dei menti volitivi.
Di partita in partita gli uomini della giocata
ingrassano, assumono fisiognomici profili.
Con buona attitudine annusano i simili
sotto le camicie e per simbiotica somiglianza
si alleano. I discorsi si devono fare lenti e pacati
sull’orlo dell’insipienza e della derisione.
Né angeli né demoni, ma solo truccate
tessere del Dio, qua e là.
Io fra loro indosso
una mantiglia nera.
Mi dipingo le unghie
di metallico grigio
sulle labbra ho messo
un colore di morte foglie
recito una fuga
ora un temporale
ora sono una fune tenuta
tesa e infine tagliata.
La generale finanza aborrisce le negatività
e ama i cocktail. E in lucide mostrine
spreca le luci della città e disperde i sogni.
I bottoni sono quasi strappati sulle camice
dei grassi seduti in penombra sui divani. Simili
a stolti gatti nobili osserviamo la schiena
delle cose e non il volto degli dei.
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