Il mare della dissomiglianza

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“Dio sta all’inizio e alla fine del mondo” — mi dicesti.

“Non cercarlo è premio. Dopo averla del tutto

srotolata, ora riporta indietro la nave del cielo.

Ha cura che il mondo non dissolva e inabissi
in quel mare della dissomiglianza, ai timoni

lo rende immortale e senza vecchiaia”.

Stridono funi e tiranti nel cielo,

ci flettono allora con flussi e cavi

ci tendono alla luce percolante,

ci consegnano a scie di risonanze,

novelle connessioni e legamenti.

Gli infiniti noi, tesi

da gran architettura

rassegniamo un lungo sospiro.

L’ogni d’ogni fibra inverte la cruna, e in oscura

prima lingua ecco connettere il muone alla festa.

Il fotone tintinna di gioia. Vuota, l’origine

zampilla di giochi. Di salto in salto, di terra

in terra un capriolare in nuova gioia,

felicità resiliente. E le vecchie vite errabonde

di ombre ciondolanti, migranti di fatto

e di mente, sono flashate all’impeto del bene

come lampi di treni ai passaggi a livello.

Mentre senza rimedio te ne andavi

mi rivelavi ad occhi aperti il niente.

Paterna gravidanza. Ruscellante

gioia, intimo fulgore. Convergevi calando

in calde labbra e fuoco dimostravi

facendo sgabello a nuove purezze.

Mi insegnavi che il respiro in origine

è senza perché, che io diverrò altro,

tu in perdute particole di luce,

non conoscendoci per quel che fummo.

Quest’unico dolore spanderà

me stesso nella gioia, mosto gonfio

del nostro schiumeggiante ribollire

nel puro gioco di nuovi noi stessi

dentro il fulgido fondo.

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