Lavorano nell’ora del lapsus di luce
nei cortili spenti sul dorso del mondo virile
nel sopore notturno quando ovunque calmato
è il senso nella diastole d’esistere. Tre donne,
Lina, Clara, Pia nel labor vorticoso di flanella
con volo di mani, lane a cascate e zampilli.
Uno la madre, due la gioia bionda, tre la tristezza
che interroga muta. Cesio cesura cesoie
sul panno del tavolo sartoriale.
Tre schiene curve scialle silenzio e tre
scagnèl da stalla. Cucire l’a con il b,
e l’omega della storia. Mettere estro
al nodo sotto la tela con premura
al tiro svelto, pollice e indice volando
in trama legato il filo, poi riemerso all’aria
d’intesa e gioia. Anche recidere.
Silenzio, favella e mutismo. Gelida
umidità d’imminente novembre, giù
discesa a fetida pastoia muta, alle porte,
ai nasi di cava cartilagine delle vacche
che risuonano al fiato così fragili.
A ogni silenzioso annodare un flash: la profezia,
l’epoca delle corse ai treni, il sole della piccola
opulenza utilitaria e proletaria, i tinelli lindi
il dito amputato di Paola in macelleria,
la malattia e le tre cose buone della notte:
il silenzio, la verità, l’immagine.
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